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Marcel Maus
arteideologia raccolta supplementi
nomade n. 3 dicembre 2009
LE LEGGI DELL'OSPITALITA'
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[…] Tutta la nostra legislazione di sicurezza sociale, questo socialismo di Stato già realizzato, si ispira al seguente principio: il lavoratore ha dato la propria vita e il proprio lavoro, da un lato, alla collettività, dall'altro, ai suoi datori di lavoro; se egli deve collaborare all'opera di assicurazione, coloro che hanno beneficiato delle sue prestazioni non si liberano da ogni obbligo nei suoi confronti con il pagamento del salario; lo Stato stesso, che rappresenta la collettività, gli deve, unitamente ai suoi datori di lavoro, e con il concorso, una certa sicurezza durante la vita contro la disoccupazione, la malattia, la vecchiaia, la morte.
Alcuni moderni espedienti, come ad esempio le casse di assistenza familiare, che gli industriali francesi hanno liberamente e validamente adottati in favore degli operai con carichi di famiglia, rispondono spontaneamente al bisogno di legare a sé gli individui, di tenere conto dei loro oneri e del grado di interesse materiale e morale rappresentato da tali oneri.1
Associazioni analoghe funzionano in Germania e in Belgio con altrettanto successo. In Gran Bretagna, in questo periodo di lunga e terribile disoccupazione, che tocca milioni di operai, si delinea tutto un movimento in favore di una assicurazione contro la disoccupazione, che dovrebbe essere obbligatoria e organizzata per categorie.
Le città e lo Stato sono stanchi di sopportare le immense spese per i pagamenti ai disoccupati, la cui causa va ricercata solo nelle industrie e nelle condizioni generali del mercato.
Per questo, economisti insigni e capitani di industria (Mr. Pybus, Sir Lynden Macassey) agiscono, affinché le stesse imprese organizzino casse di disoccupazione su basi corporative, e facciano esse stesse tali sacrifici. Essi vorrebbero, in definitiva, che il costo della sicurezza operaia, della difesa contro la disoccupazione, facesse parte delle spese generali di ogni singola industria.
Tutti questi principi morali e giuridici non corrispondono, a nostro avviso, a un perturbamento, bensì a un ritorno al diritto2.
Innanzitutto, cominciano ad apparire e a farsi strada nella realtà la morale professionale e il diritto corporativo.
Le casse di compensazione, le società di mutualità, che i gruppi industriali formano in favore di questa o quella opera corporativa, appaiono viziate, rispetto a una morale pura, solo dal fatto che la loro gestione è meramente padronale. Inoltre, sono dei gruppi ad agire: lo Stato, i Comuni, gli istituti pubblici di assistenza, le casse di ritenuta, di risparmio, le società di mutualità, il patronato, i salariati; tutti associati insieme, come per esempio nella legislazione sociale della Germania, dell'Alsaria-Lorena; e, domani, lo saranno ugualmente nella legislazione sociale francese.
Ritorniamo, dunque, a una morale di gruppi.
In secondo luogo, quelli di cui lo Stato e i suoi sottogruppi vogliono prendersi cura sono degli individui.
La società vuole ritrovare la cellula sociale.
Essa ricerca, circonda l'individuo, animata a un tempo dalla coscienza dei diritti che egli ha e da sentimenti più puri: carità, «servizio sociale», solidarietà.
I temi del dono, della libertà e dell'obbligo di donare, quello della liberalità e dell'interesse a donare, ritornano a noi, nel momento in cui riappare un motivo dominante per troppo tempo dimenticato. (pagg. 119-121) 
[…] Occorre che i ricchi, come nei paesi anglosassoni, come in tante altre società contemporanee, selvagge e altamente civilizzate, tornino - liberamente e anche forzatamente - a considerarsi come una specie di tesorieri dei propri concittadini.
Le civiltà antiche - dalle quali discendono le nostre - avevano, le une il giubileo, le altre le liturgie, coregie e trierarchie, le sussitie (pasti in comune), le spese obbligatorie dell'edile e dei personaggi consolari.
Sarà necessario risalire a leggi di questo tipo.
Occorre, inoltre, una maggiore cura dell’individuo, della sua vita, della sua salute, della sua educazione – cosa utile, del resto – della sua famiglia e dell’avvenire di quest’ultima.
Occorre più buona fede, più sensibilità, più generosità nei contratti di lavoro, nelle locazioni di immobili, nella vendita di generi necessari. E bisognerà trovare il mezzo per limitare i frutti della speculazione e dell’usura.
E’ necessario, però, che l'individuo lavori.
Occorre che egli sia costretto a contare su se stesso piuttosto che sugli altri.
D'altro canto, occorre che egli difenda i propri interessi, personalmente e in gruppo.
L'eccesso di generosità e il comunismo sarebbero per lui e per la società non meno nocivi dell'egoismo dei nostri contemporanei e dell'individualismo delle nostre leggi.
Nel Mahabharata, un genio malvagio dei boschi spiega a un brahmano che dava troppo e a sproposito: «Ecco perché sei magro e pallido ».
Devono essere evitati allo stesso modo sia il comportamento del monaco che quello di Shylock.
La nuova morale consisterà certamente in un'equa combinazione di realismo e di idealismo.
(pagg. 121-122)
[…] Non esistono altre morali, ne altre economie, ne altre pratiche sociali al di fuori di queste.
I Bretoni, le Cronache di Arturo, raccontano3 come il re Arturo, con l'aiuto di un carpentiere di Cornovaglia, ideasse quella meraviglia della sua corte, quella miracolosa « Tavola Rotonda », intorno alla quale i cavalieri non si batterono più.
Prima, per «sordida invidia» insanguinavano i banchetti più belli con stupide baruffe, con duelli e con assassini.
Il carpentiere disse ad Arturo: «Ti costruirò una tavola bellissima alla quale potranno sedersi più di milleseicento persone, e girarle intorno, e dalla quale nessuno sarà escluso... Nessun cavaliere potrà dare battaglia, perché tutti i posti saranno uguali».
Non ci fu più un «posto d'onore» e di conseguenza non ci furono più dispute.
Ovunque Arturo portasse la sua Tavola, gioiosa e invincibile restava la sua nobile compagnia.
E’ così che ancora oggi le nazioni diventano forti e ricche, felici e buone.
I popoli, le classi, le famiglie, gli individui potranno arricchirsi, ma saranno felici solo quando sapranno sedersi, come dei cavalieri, intorno alla ricchezza comune.
E’ inutile cercare molto lontano quale sia il bene e la felicità.
Essi risiedono nella imposizione della pace, nel ritmo ordinato del lavoro, volta a volta comune o individuale, nella ricchezza accumulata e poi ridistribuita, nel rispetto e nella generosità reciproca che l'educazione insegna.
E’ evidente come sia possibile studiare, in certi casi, il comportamento umano totale, la vita sociale nella sua interezza; è evidente altresì come questo studio concreto possa portare non solo a una scienza dei costumi, a una scienza sodale parziale, ma anche a conclusioni di morale, o piuttosto - per usare il vecchio termine – di «civiltà», di «civismo», come si dice ora.
Studi di tal genere consentono infatti di intravvedere, di misurare, di ponderare i diversi moventi estetici, morali, religiosi, economici, i diversi fattori materiali e demografici il cui insieme fonda la società e costituisce la vita in comune, e la cui direzione cosciente e l'arte suprema, la Politica, nel senso socratico del termine.
(pagg. 139-140)

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Brani sparsi dal Saggio sul dono (1924), ed. Einaudi Torino 2002.
Note dell'A.
- 1 - Pirou ha già fatto delle osservazioni del genere.
- 2 - Va da sé che noi non preconizziamo nessuna distruzione. I principi giuridici che presiedono al mercato, all'acquisto e alla vendita, che costituiscono la condizione indispensabile della formazione del capitale, devono e possono sussistere accanto ai principi nuovi e a quelli più antichi. Il moralista e il legislatore non devono, però, farsi trattenere dai cosiddetti principi di diritto naturale. Occorre, per esempio, considerare la distinzione fra il diritto personale e il diritto reale solo come un’astrazione, un estratto teorico di taluni dei nostri diritti. Bisogna lasciarla sussistere, ma accantonarla nel suo angolo.
- 3 - Layamon’s Brut, vv, 22 736 sgg.; Brut, vv 9994 sgg.